Ancora tempi duri per i creazionisti: identificato l’anello mancante tra uomini e australopitechi


Ancora pessime notizie per gli integralisti del creazionismo. Già ricerche precedenti hanno evidenziato l’alta probabilità che tutte le specie abbiano un antenato in comune.

La rivista NewScientist ha pubblicato, proprio ieri, i risultati sulla ricerca in merito alla scoperta in Sud Africa di due fossili di Australopitecus, a cura del gruppo coordinato da Lee Berger dell’Università di Witwatersrand, a Johannesburg.  Originariamente ritrovati nel 2008, i due esemplari di femmina adulta e di individuo più giovane alti circa un metro e venti sono stati analizzati da team di ricerca internazionali. In ottimo stato di conservazione,  hanno una età stimata di poco meno di due milioni di anni.

La ricerca sui reperti di Australopithecus Sediba, così è stato denominato dal team di Lee Berger, è ora terminata ed è stato riscontrato che questi differiscono dai ritrovamenti di altri esemplari di australopiteco, datati tipicamente tra i quattro e i due milioni di anni, per il fatto di avere tratti morfologici molto simili a quello dell’Homo Erectus, che a sua volta è comparso proprio a partire da 1,8 milioni di anni fa.

Lee Berger, avvalendosi di un vasto team di ricercatori, asserisce che gli esemplari ritrovati svolgono un ruolo di importante anello di raccordo tra l’australopiteco e l’uomo come oggi lo conosciamo. Gli esemplari sono dotati di una serie di caretteristiche fisiche “a metà” tra l’australopiteco e l’homo erectus. In particolare la dimensione del cranio è stata studiata con tecnniche di imaging digitale tridimensionale dal team di Kristian Carlson, dell’ Università di Witwatersrand. I risultati sono decisamente interessanti, la regione orbitale e frontale degli esemplari è significativamente diversa rispetto alle scimmie ed australopitechi, avvicinandosi in modo evidente alle carattersitiche morfologiche degli esemplari umani.

E’ proprio la struttura del cranio dell’Australopiteco Sediba ad essere riorganizzata, riporta il dott. Carlson, compresa la porzione morfologica del cranio deputata alla comunicazione. Questo fatto suggerisce che gli esemplari ritrovati fossero capaci di comunicare mediante fonemi molto simili al parlato. Il dott. Robert Barton dell’Università inglese di Durham è però estremamente prudente su questo fronte.

Alla ricerca ha collaborato anche il Max Planck Institute di Antropologia Evoluzionistica di Lipsia. Il team guidato da Tracy Kivell ha concentrato le proprie indagini sulla struttura delle mani. In particolare il pollice che è più lungo di quello delle scimmie, molto prossimo a quello umano. Ancora un tratto distintivo che ha permesso alla specie umana non solo di maneggiare utensili, ma di costruirli.

Di nuovo, mentre in Italia abbiamo un vicepresidente del CNR, Roberto De Mattei, che sostiene incredibilmente la reale esistenza di Adamo ed Eva, il resto del mondo va avanti con la ricerca che dimostra ampiamente l’evoluzionismo e demolisce impietosamente le tesi creazionistiche.

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4 risposte a Ancora tempi duri per i creazionisti: identificato l’anello mancante tra uomini e australopitechi

  1. ~DF-10 ha detto:

    Musica per le mie orecchie! 😀

  2. Pingback: Di grattachecche, creazionisti e tunnel improbabili: il Mi(ni)stero dell’Istruzione | LidiMatematici

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